LETTERA DA UN ANONIMO
Cara Martina,
Non so se le parole saranno in grado di esprimere ciò che ho bisogno di urlare al mondo intero, esse molte volte non bastano nemmeno per descrivere le cose più banali, quindi, come potrebbero anche solo lontanamente riuscire a trasmetterti tutta l’emozione che sto provando oggi nello scriverti.Perché sì, Martina Maria Lorenzoni da qualche periodo a questa parte tu illumini le mie giornate incondizionatamente, che fuori ci sia la pioggia, il vento o la nebbia tu riesci a scaldarmi dentro al punto che il calore inevitabilmente si riversa su tutto ciò che sta fuori.
Tutto iniziò qualche settimana fa, in una prima mattina di aprile quando la rugiada si gustava l’alba sulle foglie degli aceri che costeggiavano tutto il viale principale.
Stavo ciondolando, appoggiavo un piede davanti all’altro come un automa, la testa persa nei miei pensieri che cercavo invano di soffocare con il fumo denso del sigaro che mi faceva compagnia. Tenevo lo sguardo verso il basso, osservando le mie scarpe nuove di vernice nera domandomi perché mai avessi comprato un accessorio così inutile e scomodo.
All’improvviso sentì un portone sbattere dall’altro lato della strada, un tonfo pesante che mi scosse dal mio torpore mattutino, quasi risentito alzai lo sguardo per vedere chi aveva infranto quel silenzio. E fu lì che ti vidi. Non eri di fretta ma ti dimenticasti ugualmente di accompagnare la porta dietro di te. Stavi uscendo da casa tua, la gonna svolazzava seguendo il ritmo del vento e dolcemente con la mano cercavi di tenerla a bada evitando che si alzasse più del dovuto, ti aggrappasti al corrimano e scendesti la gradinata di quel grande palazzo. Non eri di fretta ma era come se sapessi esattamente dove stessi andando. Eri sicura e felice.
Io in quel periodo non ero ancora nessuno, fermo in piedi dall’altra parte della strada con un sigaro in mano cercavo qualcosa che mi facesse capire che la vita era ancora degna di essere vissuta. E la trovai. In quel momento i miei occhi scuri come la corteccia si creparono davanti al blu intenso dei tuoi, un blu intenso come il mare, quello vero, incontaminato che chiunque se potesse vederlo se ne innamorerebbe all’istante. Ma quello che vidi quella mattina non fu il mare, furono i tuoi occhi, mentre il sole spuntava timido dietro la collina a destra dei palazzi illuminando il tuo sorriso che si era erto ancora prima del sole stesso.
Fu in quel momento che capii che la vita era bella. Lo era per davvero se qualcuno alle sei e trentacinque uscendo di casa in un giorno di nebbia riusciva a sorridere. Non conoscevo, non conosco e forse non conoscerò mai le ragioni di quel sorriso. Ma cambiò la mia vita. Diavolo, io avevo appena superato la mezza età e ancora mi trasportavo in giro con gli angoli della bocca ricurvi verso il basso con la consapevolezza di non aver vissuto forse nemmeno un giorno nella mia vita, stavo aspettando semplicemente che passasse. Diavolo, come era possibile che tu, giovane donna, fossi così diversa da me, felice, sicura, come se la vita non ti fosse piombata addosso per errore ma te la fossi costruita tu esattamente come la sognavi.
Ti seguii con lo sguardo finché non girasti l’angolo prendendo un’altra via. Io rimasi fermo li, immobile, dall’altra parte della strada, sul marciapiede, in parte nascosto dal piccolo acero che cresceva timido tra le crepe nell’asfalto. Non mi spostai, non aspirai più neanche una boccata di quel sigaro che tenevo nella mano destra, rimasi li incantato finché la tua visuale non mi fu nascosta dai palazzi grigi che si ergevano enormi accanto a te. Tu non ti accorgesti nemmeno della mia presenza, non mi guardasti.
Non so quanto rimasi li, in quella posizione a contemplare la bellezza di quei lineamenti che mi si era stampata nella mente: il profilo del mento, il collo che si intravedeva sotto il cappotto troppo aperto per il mese di aprile. Probabilmente non rimasi li molto a lungo perché il sigaro arrivò a bruciarmi le dita, mollandolo a terra tra lo spavento e lo stupore mi risvegliai da quel sogno in cui ero caduto.
Ogni tanto ancora adesso, a distanza di tempo, prima di dormire rievoco il ricordo di te così bella che senza timore ti stavi accingendo a vivere la vita sorridendo, un sorriso puro, sincero fatto unicamente per te stessa. Fu quello che mi sconvolse, perché non era una messa in scena, quella mattina non stavi fingendo, sorridevi per te stessa perché da sola avevi trovato un motivo per essere felice.
Eri da sola su quella strada eppure hai sorriso, eri da sola su quella strada perché forse non c’ero nemmeno io.
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