DOLORE
Facciamo un gioco: provate a spegnere un attimo il cervello, a metterlo in pausa...
se pronunciassi la parola DOLORE cos'è la prima cosa che vi verrebbe in mente?
Io penserei alle mie anche, ho un conflitto femoro-acetabolare: non ho intenzione di spiegarvelo con parole complesse ma forse serve un piccolo ripassino di anatomia.
Il nostro peso viene scaricato sulle gambe, le quali sono composte da ossa e muscoli:
un osso in particolare (il femore) confluisce nel bacino.
Nello specifico: la testa del femore si incastra nella conca dell'osso iliaco chiamata per l'appunto acetabolo.
Sarebbe un'unione praticamente perfetta: un grande osso che riserva una piccola insenatura per ospitare ed accogliere l'estremità superiore del femore. Quest'ultimo protetto da un morbido strato di cartilagine riesce a fare il suo lavoro, di sorreggerci, con scioltezza. La cooperazione delle singole parti permette alla nostra struttura inferiore di flettere, estendere, addurre, abdurre e ruotare.
Movimenti che ci sembrano scontati, che facciamo quotidianamente senza neanche rendercene conto.
Sarebbe perché nel mio caso non lo è.
In una unione perfetta non si percepiscono screzi. Vero è, che in una qualsiasi coppia: che sia di amici, amanti o nel nostro caso ossa probabilmente sussistono dissapori interni di cui non ci accorgiamo quasi mai perché inizialmente irrilevanti o minimi. Un vulcano fa paura solo quando erutta, un fiume in piena fa danni solo quando esonda, due ossa iniziano a creare danno quando vengono alle mani come due amici storici che decidono di risolvere una questione facendo a botte.
In tutti questi casi abbiamo già superato un limite, la famosa goccia che fa traboccare un vaso già pieno. La fuoriuscita dell'acqua si poteva evitare se avessimo sbirciato un pochino meglio dentro e ci fossimo resi conto che la situazione era più grave del previsto; ma noi esseri umani siamo bravissimi ad ignorare i campanelli di allarme, li lasciamo suonare. Come l'avviso di allacciare la cintura di sicurezza quando siamo al volante di una macchina. Ci abituiamo al fischio fastidioso per poi meravigliarci se voliamo fuori sul cofano della macchina attraversando il parabrezza.
Il dolore è simile ad un campanello di allarme, lo percepisci fin da subito ma inizialmente è intermittente e quindi lo ignori sperando che prima o poi smetta; è fastidioso ovvio, ma sopportabile.
Non prestiamo mai attenzione ai segnali, come in una relazione tossica: i problemi li notiamo fin da subito anche se ci piace nasconderli sotto al tappeto e far finta che non esistano, il vaso trabocca quando su quel tappeto ci inciampiamo e voliamo con il muso per terra.
Non prestiamo mai attenzione ai segnali che ci avvertono della nostra sicurezza: emozionale o fisica che sia.
Io per prima non so quando ho iniziato ad ignorare i miei di avvisi.
Stavo correndo in Calabria sul lungomare o era cominciato già sugli argini di Padova? Avevo già male durante gli anni del liceo quando stavo per troppe ore seduta nella stessa posizione o è cominciato dopo quando lavoravo 8 ore in piedi al museo? Quando ho smesso di dormire lateralmente perché il dolore era insopportabile? Non ho ricordi di un momento preciso, sono stata un esempio di testardaggine esemplare, non solo l'acqua è uscita dal vaso ma ho aspettato che si allagasse tutta la stanza prima di mettermi con una forchetta a cercare di raccogliere il liquido straripato per farlo uscire dalla finestra.
In una unione perfetta, non ci si accorge delle singole parti, se la cooperazione funziona ci gustiamo i risultati senza far caso al processo. Quando guidiamo non percepiamo la centralina che manda segnali, i pistoni del motore che girano veloci o il differenziale che fa fare al volante ciò che vogliamo noi senza fiatare. La macchina avanza silenziosamente e questo per noi è sufficiente.
Nella mia macchina c'era un difetto di fabbrica, una cosa inizialmente piccola che sarebbe rimasta latente per molti anni. Come una mina, pericolosa certo: ma se non la pesti non esplode.
I miei femori sono sempre stati due fiammiferi, innocui solo finché non ci avvicini un accendino.
Brucio, la sensazione è quella di andare a fuoco.
Ho fiamme che divampano dentro di me, il calore si irradia nella zona del bacino.
Percepisco la mia struttura interna: la sento pulsare, bussare per avvertirmi che non ce la fa più. Qualsiasi movimento è limitato, è doloroso come una porta non oliata che cigola o due ante non perfettamente allineate che sbattono ogni volta che provi a chiuderle.
Due tizzoni ardenti conficcanti nel bacino al posto delle ossa come sostegno, questo percepisco costantemente; non c'è posizione che mi dia sollievo, e non c'è modo per ridurre le fiamme.
Il fuoco non si spegne per osmosi, un pezzo di steppa brucia anche se circondato dal mare.
Mi premo forte i panetti di ghiaccio sui fianchi nella speranza di non alimentare quelle fiamme, come se volessi togliere loro ossigeno semplicemente con la pressione delle mani sulla pelle.
Sento le ossa fare a pugni, la testa del femore che litiga con l'insenatura dell'acetabolo, la cartilagine è esausta, consumata, esangue non ce la fa più.
E' stremata, prende colpi da entrambe le parti ma continua a fare il moderatore come ad un incontro di boxe, stende le braccia e cerca di tenere separati i due combattenti che ad ogni movimento si scannano. Un passo, un salto, una accosciata voi non la percepite la fatica dei tessuti che si impongono di mantenere uno spazio tra le ossa, io si.
Ogni tanto la aiuto, la cartilagine, circa due volte l'anno mi inietto due fiale di acido, un lubrificante che la nutre, la rigenera. Le concedo quei 5 minuti per riprendersi in modo tale che possa tornare a fare il suo lavoro con un po' meno di fatica.
Non è una soluzione, è un modo per tirare avanti, è un modo per far si che la cartilagine non muoia di stenti ma sopravviva almeno finché il resto del mio corpo sarà in grado di muoversi.
Quando faccio le infiltrazioni il dolore è fortissimo è come versare alcool su una ferita, stringi i denti e bestemmi perché sai che è necessario per disinfettare anche se non capisci come mai non ci sia un modo meno invasivo.
Le infiltrazioni sono come erogare un estintore in un bosco che arde, certo fa qualcosa ma sicuramente non risolvi la situazione in maniera permanente, al massimo ti permette di sopravvivere un po' di più finché il fumo non ti ostruisce i polmoni.
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