L'IMPREVISTO
E' l'ennesima goccia che sento schiantarsi sul pavimento.
Lo scròscio sta diventando sempre più insistente.
Ho le mani fradice, il liquido denso mi scorre imperterrito tra le dita,
mi scorre lungo le braccia fino ai gomiti prima di finire in terra.
Non credo di farcela più a trattenermi, dalle crepe sto iniziando ad uscire,
il processo ormai è irreversibile.
La diga sta cedendo, l'acqua non potrà più essere contenuta e farà un disastro.
Mi sono sempre sentita in corsa, ho sempre avuto obiettivi distanti da me, ma questo non mi ha mai creato problemi. Se ero organizzata, con un piano ben definito il tempo e la fatica che dovevano intercorrere tra il presente e il futuro non mi spaventavano. Non mi spaventava l'inizio del percorso di studi e non mi ha spaventato nemmeno quando a dicembre ho deciso di posticipare la laurea di ben 7 mesi per cercare di dare 5 esami fuori piano per l'insegnamento.
Anzi questa cosa mi ha caricato come una molla, mi ha fatto riscoprire un'energia che ritenevo perduta.
Sono andata avanti come un treno, imperterrita e ostinata con la consapevolezza che prima o poi sarei arrivata. Il traguardo era lì, la strada che vi conduceva segnata ed evidente. Ovviamente per riuscire a concludere tutto nei tempi previsti ho dovuto fare delle rinunce e rimandare alcuni progetti, ma sinceramente anche questo non mi preoccupava. Avevo le idee chiare, altra cosa che comunque mi ha stupito perché abbastanza insolita, non mi è mai piaciuto procrastinare ma qui mi pareva che farlo avesse un senso, si trattava di priorità.
Man mano che passavano i mesi e le materie da studiare continuavo ad accantonare sogni, li segnavo sull'agenda sul mese di giugno, mese che sarebbe stato se non in discesa per lo meno pianeggiante. Avrei dovuto finire gli esami a fine maggio, la laurea a luglio mi dava quel mese di tempo per realizzare una serie di cose personali che da tempo aspettavano di prendere forma. Di nuovo, era tutto pianificato, c'erano dei margini di errore come dover posticipare e rifare alcuni esami ma, era stato calcolato anche quello.
Sono sempre stata pragmatica e meticolosa per cui anche se inguaribilmente ottimista avevo calcolato che qualcosa potesse andare storto.
Il 5 giugno verso le 18.30 però ho capito cos'era un imprevisto.
A distanza di tre settimane posso dire che non me ne era mai capitato uno di un'entità così grande.
Perché l'imprevisto è qualcosa che non avevi neanche lontanamente considerato, qualcosa che esula da ciò che possiamo contemplare, forse si chiama così proprio per questo motivo perché non te lo eri immaginato nemmeno nelle ipotesi peggiori.
La maggior parte dei piani che avevo in mente per giugno erano:
- lavorare senza sosta per mettere da parte dei soldini per settembre (faccio un lavoro prettamente fisico)
- tenere delle lezioni al come coach al campo dove ci alleniamo, per prendere confidenza con l'insegnamento e fare della gavetta che mi sarebbe servita.
- allenarmi in vista delle prossime gare in programma e per superare alcuni limiti che mi stavano iniziando a stare stretti.
- creare dei contenuti per i social per l'ambito sportivo (progetto che avevo già in mente questo inverno ma per questioni anche semplicemente meteorologiche stava aspettando)
Non so se voi notiate un collegamento tra questi punti, io per prima non avevo percepito nessun elemento in comune, le cose che avevo previsto che potevano andare male erano: il meteo, il fatto che nessuno potesse aiutarmi nel girare i video, la mia incapacità di insegnare che un po' alla volta sarebbe svanita, come anche l'insicurezza e l'ingenuità tipica di quando fai qualcosa per la prima volta; avevo previsto qualsiasi cosa, avevo un piano B e addirittura un piano C.
L'unica cosa che non avevo messo in discussione era la mia salute.
Non avevo mai preso in considerazione l'idea di rompermi un piede, in particolare di spezzare il malleolo peroneale della caviglia sinistra.
Quando sono caduta a terra durante l'allenamento sotto il crock che si è espanso dentro di me non ho realizzato subito. Ad essere onesta, sono dovuti passare alcuni giorni prima che mi rendessi effettivamente conto di ciò che significava. Il mio ottimismo mi aveva fatto vedere subito il lato positivo della medaglia: poteva andare peggio, tutto sommato pensavo di soffrire di più e comunque avevo progetti che potevo realizzare anche stando seduta quindi nella prima settimana non mi sono lasciata abbattere.
Il retro della medaglia però purtroppo si è rivelato dopo, quando ho realizzato di essere a casa da sola, in una casa grande con tante scale, di non avere la mia famiglia vicino, di aver perso in una frazione di secondo il lavoro e quindi un'entrata economica sicura, l'indipendenza perché non ero più in libera di salire in una macchina ed essere padrona delle mie scelte e questa forse è la cosa che mi peserà di più nei prossimi mesi. Per ultimo ma non meno importante non mi potevo più allenare e andare a correre.
La corsa che è sempre stata il mio ossigeno quotidiano, da sempre, quando i pensieri diventano insistenti uscivo, se avevo poco tempo 5km erano sufficienti li chiudevo sui 25 minuti e la sensazione di seminare le preoccupazioni per strada era la cosa più rigenerante del mondo.
Mi sono vista crollare il palazzo che mi ero costruita un pezzo alla volta, un giorno dopo l'altro. I giorni passavano e riuscivo a vedere solo le cose che stavo perdendo. E' stato un effetto domino, le cose hanno iniziato a crollare in serie, una dopo l'altra, l'incapacità di salire le scale, di buttare la spazzatura, la difficoltà di lavare i piatti, di deambulare unicamente con le stampelle dentro casa, l'impossibilità di essere autosufficiente, la lentezza nello svolgere cose che prima facevo con estrema rapidità.
Mi sono ritrovata nella situazione di dover chiedere esplicitamente aiuto ad amici e familiari. Io che pur di non essere un peso per gli altri soffro in silenzio o rinuncio a qualcosa. Non so perché ma ho sempre adottato questa filosofia di vita, marcisco io pur di arrecare danno agli altri, forse perché so cosa sono in grado di sopportare e in parte ne sono abituata. Non sono orgogliosa, nemmeno un po, non è l'orgoglio che mi frena dal chiedere aiuto: è proprio l'idea di pesare, di essere un disturbo da un lato, e dall'altro sapendo quanto è faticosa la sofferenza cerco di alleviarla negli altri e non di arrecarne.
Il 6 giugno l'ortopedico mi disse che dovevo aspettare qualche settimana e rifare i raggi per capire se era necessario intervenire o meno a livello chirurgico. Io effettivamente non sono mai stata un persona fortunata ma l'ottimismo bilancia e compensa la sfiga e quindi anche se sapevo che era probabile una operazione non ci pensavo più di tanto.
Ma più passavano i giorni più il dolore aumentava e la situazione non migliorava.
Ingenuamente pensavo che con un mese di gesso sarei tornata come nuova, alla fine era semplicemente un osso spezzato, niente di grave no?
Per la prima settimana di luglio ero convinta di poter riprendere in mano tutti i miei sogni.
Ma il verdetto non è stato positivo come avevo sperato. Ora mancano pochi giorni all'intervento e sarà l'inizio della fine. Dico così perché oltre ad essere in salita sarà una strada di cui non riesco a vedere la fine in quanto situata verso l'autunno, troppo lontano considerando che oggi è il primo giorno d'estate.
Sono una persona paziente? A questa domanda risponderei con: abbastanza e dipende. Con gli altri sempre avuto troppa pazienza con me stessa sempre poca. Un mese ferma sarebbe stato accettabile, ma l'idea di riprendere a camminare con estrema lentezza per il mio compleanno mi paralizza.
L'imprevisto lo definirei così:
un castello realizzato con le carte da scala quaranta
che cade subito dopo aver appoggiato l'ultima carta in cima alla torre.
Sei riuscito a posizionarla, ma l'opera crolla prima che tu ti sia potuto allontanare
quel tanto che basta dal lavoro svolto per poterlo ammirare e apprezzare.
Ti viene tolta quella soddisfazione di aver lavorato a lungo per qualcosa di cui non riesci a godere.
Come un anno di scuola senza vacanza, un anno di lavoro senza ferie.
Come mesi di allenamento senza una competizione alla fine,
come mesi di studio senza sostenere l'esame finale.
Come cucinare una torta invitante e non assaggiarla.
E' frustrante e avvilente come sensazione, ti sei avvicinato così tanto ma non sei riuscito a toccare qualcosa: come allo zoo quando allunghi la mano verso l'animale che ti fissa curioso ma vieni fermato da quel vetro che non avevi visto, che non avresti potuto vedere.
Puoi solo fare un respiro profondo chiudere gli occhi e immaginare la sensazione di toccare la criniera del leone mentre i tuoi polpastrelli premono sulla vetrata che vi separa.
to be continued....
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