LA TRAPPOLA DELLA SODDISFAZIONE


Non sappiamo apprezzare ciò che abbiamo, 
questa è una delle cose su cui ho riflettuto più spesso nell'ultimo periodo, 
non riesco a trovare la falla nel sistema. 
Perché facciamo così fatica ad essere grati per ciò che siamo?

Nell'ultimo libro letto lo scrittore parlava del binomio soddisfazione-felicità: questi termini non sono sinonimi e purtroppo l'uomo è alla continua ricerca di soddisfazione e non di felicità ed è questo che lo rende infelice nel profondo. Per essere felici basterebbe davvero poco ma per essere soddisfatti ci vuole molto, e quel molto non sarà mai abbastanza. Se la felicità è un qualcosa che possiamo coltivare dentro di noi la soddisfazione si traduce con il raggiungimento di qualcosa che sta all'esterno

Mi vengono in mentre quei videogiochi, ormai passati di moda, dove un personaggio corre, seguendo una strada, alla ricerca di premi o monete. Non riesci a smettere di giocare finché c'è la speranza che dietro l'angolo ci possa essere un'altra dozzina di gettoni d'oro da raccogliere e così continui a correre, 
hai male alle dita delle mani a forza di pigiare con forza le frecce del gameboy.
Siamo convinti che questo sia ciò che ci rende felici e non capiamo perché nonostante il numero delle monete continui ad aumentare ci sentiamo continuamente più stanchi.

Sono sempre stata meticolosa (per non dire ossessivo compulsiva su certe cose), son quella persona che prima di iniziare a studiare si deve dividere le pagine dei libri per i giorni liberi, quella che prima di iniziare una giornata apre il diario, ci scrive quello che deve fare e poi, solo dopo aver appuntato tutto, ha la coscienza pulita per iniziare a fare qualcosa.
Lo faccio perché ho paura di perdermi, di iniziare a vagare senza una meta, di distrarmi e alla fine concludere la giornata senza aver fatto nulla di quello che avrei dovuto. 
Mi domando continuamente se quelle cose scritte che "devo" fare siano realmente importanti, 
e se sì, per chi. Per me?
Alla fine della giornata se ho spuntato tutte le caselle di controllo che mi ero prefissata non sono felice ma solo soddisfatta. Nel mio piccolo mi rendo conto che spesso ricerco questo, la soddisfazione: 
quel ghigno che fai sotto i baffi quando sai di avere una buona mano a poker, quando sei sicuro di aver segnato tutte le risposte giuste ad un test o sai di aver avuto la meglio durante una discussione. 
Questi sono momenti soddisfacenti, non felici.
Se penso alla felicità penso al gelato preso con Martina qualche settimana fa, 
penso alle ore per vestirsi e truccarsi con Eleonora per uscire, 
penso alle risate con Jacopo, ai momenti con Thomas
 o alle conversazioni profonde con Dario. 
Penso al cuore che martella nel petto dopo un allenamento o una corsa, 
penso agli abbracci dopo una gara o ai sorrisi delle persone che non vedevo da tanto, 
alla pizza mangiata in buona compagnia.
Penso anche alle notti passate a parlare e fare l'amore con l'unica persona che abbia mai amato.

Se penso alla felicità non penso alle gratificazioni lavorative, ai voti sul libretto dell'università non penso nemmeno ai vestiti, alla moto o a qualsiasi altra cosa che mi circonda. Penso a frazioni di secondo, principalmente sguardi e sorrisi, come quello di mia mamma quando mi sono laureata in triennale, o mi ha visto uscire tutta intera dalla sala operatoria. Certi momenti ti rimangono incastrati nel cuore, non importa quanto tempo passi o se quella persona sai per certo che non la rivedrai più.

Eppure il mio diario è costellato di caselle di controllo per cose soddisfacenti, non felici, anzi posso dirvi un segreto: nel mio diario, evidenzio le cose con colori diversi in base alla categoria (in giallo questioni economiche, in arancione gli allenamenti, in verde il lavoro) e mi riservo il viola per i momenti felici, questo devo ammetterlo. Diciamo che la considero una buona giornata se nella lista infinita di cose evidenziate ce n'è almeno una colorata di viola.

Vi ritrovate in quello che dico?
Secondo me molte persone sono convinte che la felicità sia dietro mille soddisfazioni
dietro quella pacca sulla spalla che stavamo aspettando 
o dietro quei complimenti che volevamo tanto ricevere. 
Lo dico perché quando mi sono laureata in triennale mi ci sono ritrovata dentro a questa sensazione. 
Ho provato un po' di delusione mista al classico "Tutto qui?". Tre anni, che poi sono diventati quattro, di duro lavoro e poi il 20 febbraio 2019 ho ricevuto tutte quelle pacche sulla spalla e quei complimenti che sognavo ma non mi sono sentita felice; sollevata, leggera, grata, stanca, arrivata sì. 

Secondo me una buona soluzione per non farsi ingannare è riconoscere la differenza sostanziale tra questi due concetti, possiamo ricercare la soddisfazione nella nostra carriera, nei nostri allenamenti, nello studio in tantissime cose e va benissimo ma dobbiamo essere consapevoli che il raggiungimento di tali obiettivi non ci renderà felici

Appena raggiunto un obiettivo che ci eravamo prefissati ne scorgeremo un altro all'orizzonte che ci farà gola al quale punteremo senza neanche fermarci un secondo per goderci il successo appena conquistato. Un po' come il personaggio che corre nel videogioco, non fa nemmeno caso alle monete che ha in tasca continuerà a guardare quelle che non ha ancora raggiunto.
La soddisfazione è insaziabile ed è per questo che può diventare una trappola. 
Siamo convinti che la felicità (che io traduco come un cocktail di serenità e gratitudine) 
arrivi dopo un tot di soddisfazioni quando invece è sempre stata lì, un passo dietro a noi. 
Ce l'abbiamo sempre avuta a portata di mano, indipendentemente dalle soddisfazioni che potrebbero, o non, arrivare da fuori.

La felicità non è un qualcosa da raggiungere, ma un mezzo con cui andare avanti









Commenti

Posta un commento

Post più popolari