VIVERE IN APNEA

"Ma chi l'ha inventata l'idea della pensione?
Perché non possiamo lavorare meno ma per tutta la vita al posto di lavorare tanto sperando di avere del tempo dopo?"
Mia mamma qualche giorno fa se n'è uscita con questa osservazione
E io mi ci sono fermata a rifletterci sopra più del dovuto...

Ora, senza fare una lezione di storia sociale, che purtroppo non interessa a nessuno.
La pensione, o meglio, la prima cassa nazionale per l'invalidità e la vecchiaia, su base volontaria, fu istituita in Germania e arrivò in Italia alla fine dell'800.
Le società di mutuo soccorso laiche ed ecclesiastiche che esistevano da sempre, 
un po' alla volta, furono soppiantate da una legislazione statale che si fece carico di coloro che non erano più in grado di lavorare...
Io ho sempre visto questo come un grande traguardo per il nostro paese, 
un passo verso la modernizzazione.
Lo stato che decide di prendersi cura dei suoi cittadini, mi sembrava unicamente una cosa bella.
Ma l'affermazione fatta da mia mamma l'altro giorno mi ha fatto vedere la questione da un altro punto di vista.
Lo stato si fa carico,
(opinabile anche questo se vogliamo fare i pignoli 
perché i soldi per la cassa nazionale erano versati dai cittadini mica regalati
ma tralasciamo questi tecnicismi...)
Lo stato si fa carico,
Non tanto di coloro che non erano più in grado di lavorare 
ma di coloro che, spremuti fino al midollo, non erano più in grado di sostentarsi.
Lo stato si fa carico di coloro che avevano finito le energie vitali prima di essere morti per davvero.
Alla fine dell'800 cambia tutto, 
siamo nel pieno della crescita economica occidentale, 
ci si sposta dalle campagne alla città, 
le persone si rintanano dentro le fabbriche per 14 ore al giorno, 
aumenta il carico e il ritmo di lavoro diventa alienante.
Questi sono i motivi per cui nascono, con il tempo, normative per regolamentare il lavoro minorile, il lavoro per le donne in stato di gravidanza, il lavoro notturno e via dicendo...
Ho sempre visto lo sviluppo di queste normative come dei punti di arrivo, 
delle cose da esaltare, 
tant'è che entrambe le mie tesi all'università hanno ruotato intorno a questo. 
Ho sempre inquadrato lo stato come un ente benevolo che ci ha dato qualcosa quando in realtà, 
mi accorgo ora, ci ha più che altro tolto. 
Ci toglie per anni per poi lasciarci le briciole alla fine e si aspetta pure che ringraziamo perché in effetti senza di lui non avremmo accesso nemmeno agli avanzi.

La modernizzazione ci ha sicuramente agevolato: 
l'acqua corrente, l'elettricità, il frigorifero, le automobili...
tutte cose che non avremmo potuto avere altrimenti
(o forse sì, secondo me, ma con ritmi decisamente più lenti e più umani)
Beni di consumo che prima erano concessi a pochi arrivano pian piano a tutti e non si può negare che le condizioni di vita migliorano, i dati parlano chiaro: si inizia a vivere più a lungo!
Ma si vive meglio?
Non è sicuramente stato un vantaggio per coloro che hanno fatto da cavie per la transizione.
I primi, coloro che furono costretti a migrare, a spostarsi 
a vivere in quelle poche grandi città ricolme di fabbriche 
vivendo in case sovraffollate e malsane, ci hanno rimesso.
Si sono sacrificati per una causa maggiore, per il progresso. 
Abbiamo chiesto allo stato che si prendesse cura di noi perché avevamo paura che ci abbandonasse quando, dopo averci consumati, non saremmo stati più utili.
Gli uomini da sempre sono morti lavorando, ed è sempre stata considerata la normalità!
E' insito nella natura dell'uomo quello di fare, di muoversi, di creare.
Eppure oggi siamo consapevoli che non saremo in grado di lavorare fino alla fine, ma perché?
Perché associamo il concetto di lavoro a qualcosa di logorante, come un qualcosa che toglie al posto di dare. Si va a lavoro sbuffando sperando che arrivi presto il momento in cui potremo spegnere il pc o timbrare il cartellino per poterci godere il tempo libero.
Spesso poi, non sappiamo fare nemmeno quello perché ci trasciniamo dietro preoccupazioni talmente effimere ma estremamente invalidanti per il nostro spirito.
Non vediamo il lavoro come un mezzo ma come unicamente come il fine.
Il lavoro dovrebbe darci possibilità invece spesso finisce per toglierci tutto, in primis, sogni e speranze.
Anche coloro che riescono a fare della propria passione un lavoro finiscono per odiarlo, 
non tanto per il lavoro in sé ma per i ritmi, per le pressioni, le ansie e l'insoddisfazione generale.
E così abbiamo ripiegato sulla pensione...
Aspettiamo gli avanzi
La pensione è diventata un obiettivo!
Da sempre mi sento dire che dovrò lavorare tutta la vita perché tanto io la pensione non la vedrò mai! Sono cresciuta con l'angoscia di accumulare quanti più soldi possibili perché un giorno non sarò più in grado di lavorare e dovrò avere un piano B perché non è detto che lo stato si prenderà cura di me.
Da piccola non comprendevo, da ingenua, non capivo quale era il problema di lavorare tutta la vita, associavo il lavoro a qualcosa di bello, di gratificante, di piacevole...
Non capivo perché gli adulti fossero così risentiti su questo argomento.
Poi ho capito...
Rinunciamo a ferie, permessi, viaggi, esperienze perché siamo terrorizzati all'idea di ottenere in anticipo quello che ci dovrebbe spettare alla fine, 
come se quello che consumassimo oggi ci venisse tolto poi.
Da quando finiamo gli studi ed entriamo nel mondo del lavoro è come se iniziassimo a trattenere il fiato.
Viviamo in apnea sperando arrivi presto il momento in cui potremmo goderci la vita senza sensi di colpa. Quando potremo spendere ciò che abbiamo accumulato senza rimpianti.
E questo momento non è mai ora, è sempre un po' più in là.
Perché sì, mentre siamo sott'acqua 
e sentiamo che ci manca l'ossigeno 
pensiamo di poter resistere ancora due, dieci secondi, 
che ne varrà la pena, 
perché se resistiamo un po' di più 
poi otteniamo un premio più grande. 
Il problema è che poi molti ci muoiono così, 
sott'acqua, senza essere riemersi mai nemmeno una volta nella vita.





 










Commenti

  1. “Perché associamo il concetto di lavoro a qualcosa di logorante, come un qualcosa che toglie al posto di dare. Si va a lavoro sbuffando sperando che arrivi presto il momento in cui potremo spegnere il pc o timbrare il cartellino”

    Parto riprendendo questa frase, per molti il lavoro è qualcosa che tiene vivi, impegnati, c’è chi pur potendo andare in pensione continua Lavorare, non per sfinimento, non per dovere ma per poter continuare. “Vivere” non nel senso di vita che mancano i soldi, ma che senza sarebbe in uno stato catatonico di nulla facenza.

    Il lavoro può anche salvare, da brutti momenti, ti tiene occupati ti tiene vivo.

    Ovvio la tipica frase” fai cioè che ami e non lavorerai un singolo minuto nella tua vita” è un po’ scontata, inseguire i propri sogni è sempre un bene, ma bisogna anche sapersi accontentare almeno nel presente di cioè che si ha, che è ciò che ti fa andare avanti.

    La sensazione di apnea che descrivi non la condivido appieno. Non è tutto bianco o nero e quello che mi è parso che descrivi è quello. Si può fare le proprie esperienze, viaggi momenti di svago hobby, anche mente si è nel bel mezzo del “momento lavorativo di punta” senza aver l’ansia di togliere qualcosa al dopo. Certo non si può permeare un biglietto di sola andata per un luogo ma Comunque un viaggio a tutto tondo su puo Comunque fare.

    Noto molta pressione nel tuo testo, se da un lato l capisco dall’altro non la condivido…

    Firmato Pigna Prolissa

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