MOLVENO


A maggio dell'anno scorso partecipai
per puro caso, su consiglio di una cara amica,
ad una gara sul lago di Molveno.
Era un format di gara che, scoprii dopo, faceva proprio per me:
distanze mediamente lunghe, 
dislivello, 
percorso in mezzo alla natura, 
ostacoli relativamente semplici e non troppo tecnici.
Arrivai decima assoluta tra tutte le donne che parteciparono a quella competizione.
Quel weekend in mezzo alle montagne mi rimase impresso
al punto che mi feci una promessa: 
l'anno dopo sarei tornata e sarei salita su quel podio.

La primavera dell'anno scorso fu un periodo intenso, 
feci molte gare
avevo obiettivi ben chiari, 
testa e corpo mi sembravano connessi
ma mi sbagliavo.
L'ultima competizione a cui partecipai fu a Montagnana il 3 giugno.
Due giorni dopo mi ruppi la caviglia.
tutti i miei sogni sportivi svanirono in una frazione di secondo.

Per i tre mesi successivi l'obiettivo era tornare a camminare,
ero terrorizzata di non recuperare,
di non riuscire più a correre.
A settembre avevo ripreso a camminare senza stampelle.
Ad ottobre ripresi a correre, con un programma specifico post infortunio:
pochi km, senza esagerare.
Mentre tornavo, pian piano, ad allenarmi continuavo a pensare a Molveno.
Continuavo a pensare a quella gara, 
al fatto che forse, impegnandomi, potevo ancora farcela.
Avevo sei mesi di tempo per prepararmi,
non erano tanti ma nemmeno pochi, 
dipendeva solo da me.
Decisi di puntare più sulla corsa tralasciando gli ostacoli,
non mi ero mai allenata con il dislivello e quest'inverno fu il momento adatto.
Andai a correre sui colli tutte le domeniche in cui ne avevo l'occasione,
iniziando a macinare km alle varie marce.
Il 20 aprile partecipai alla BEAST della SPARTAN a Gubbio, 
fu un ottimo test per valutare il lavoro fatto nei mesi precedenti
23km, 1300mt di dislivello e tantissimi ostacoli.
Fu un bellissimo successo personale concludere quella gara con un buon risultato.

Un mese dopo arrivò Molveno.
Dire che ero agitata sarebbe un eufemismo
Avevo addosso la pressione di un anno di aspettative.
L'obiettivo del podio era stato, per tutto l'inverno, il motore dei miei allenamenti:
per andare a correre anche con il freddo, con la pioggia e con il buio,
era ciò che mi smuoveva quando, dopo una giornata di lavoro, volevo solo riposarmi.
C'era quella vocina dentro di me che mi ricordava perché stavo facendo tutto questo.
E ora sentivo che non potevo deluderla
Volevo quella vittoria, quel podio.
Quel podio voleva essere la mia rivincita, il mio riscatto.
Non era una sfida con gli altri ma con me stessa.
Era il momento in cui volevo essere ripagata di tutti i sacrifici fatti.

Mi iscrissi ad entrambe le gare per quel weekend:
Sabato c'era la corta da 6km (che poi furono 9) e la lunga di domenica da 15km.
Tenevo di più a quella di Sabato, lì volevo dare il massimo, 
a quella di domenica volevo solo divertirmi.

Sabato percorsi quei 9km con l'ansia, 
l'ansia che qualche donna mi superasse, 
l'ansia che la mia preparazione non fosse abbastanza.
L'ansia di non farcela, che tutti quei mesi di preparazione non fossero serviti a niente.
Volevo quel podio a qualsiasi costo.
Volevo salire su quel gradino con la bandiera della mia squadra, della mia seconda casa.
Tagliai la linea del traguardo soddisfatta 
ma non ero sicura di aver fatto il massimo;
e se non fosse stato abbastanza?
Non potevo tornare indietro e fare meglio, ora potevo solo aspettare.
Aspettare che tutti finissero e scoprire il verdetto.
Le due ore successive furono le peggiori,
piantonai il tabellone dei risultati fino al minuto prima delle premiazioni.
Avevo paura che non fosse vero
stavo sognando?
Il mio sogno si stava realizzando davvero?
Finché non hanno chiamato il mio nome non riuscivo a crederci.
Era successo veramente.

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