IL DOLORE MUTO DI UNA GENERAZIONE
Ho iniziato a leggere questo libro con la stessa speranza con cui ne ho iniziati molti altri:
quella di trovare delle risposte e mi sono stupita di averle trovate davvero.
Una delle domande era: perché?
Perché i giovani di oggi sembrano dissociati dalla realtà?
Perché spostano l'attenzione dal tutto al singolo,
mettono al centro dei loro sforzi piccoli dettagli della loro vita?
"Come la beauty-routine che si trasforma in un'auto-cura
e una forma di distrazione per non pensare"
Dall'autrice vengono definite
piccole àncore di salvezza che però non portano ad un reale cambiamento.
Guardare l'insieme a quanto pare è impensabile, fa paura. Perché?
Perché se allarghiamo lo sguardo sulla totalità di noi stessi
proviamo quella sensazione di non essere niente?
Che forse anche voi, come me, avrete provato almeno una volta nella vita?
A quanto pare il motivo risiede in un unico problema.
Il fatto di non essersi mai ascoltati, visti, capiti.
Abbiamo passato la nostra infanzia iper-adattandoci e falsificando noi stessi
senza neanche accorgercene.
Vivendo false infanzie e anche, come nel mio caso, false adolescenze.
Questo per accontentare i nostri genitori, i nostri educatori
o comunque coloro che avevano delle aspettative su di noi.
"L'aver fatto per troppo tempo i bravi stando zitti e buoni
è stata una buona recita per ottenere privilegi che ci facevano comodo"
E come mai un bambino dovrebbe fingere di essere ciò che non è?
A quanto pare per ottenere qualcosa:
amore, riconoscimento, attenzioni... Insomma tante cose.
Il bambino riesce a riconoscere le esigenze degli adulti che ha di fronte più delle proprie.
Se ci comportiamo bene ci torna indietro qualcosa, e questo per un po' funziona,
Fino a quando un giorno cresci e realizzi che assecondare il volere degli altri non ti basta più.
Ma tu, bambino, avevi interpretato quel ruolo talmente bene che ti sembrava reale,
nel momento in cui lo spettacolo finisce e ti togli la maschera
resti sconvolto nel non trovarci nulla sotto.
Non ce ne siamo nemmeno resi conto, di esserci sacrificati.
L'autrice a questo punto sposta l'attenzione sui genitori,
i quali spesso comportandosi come bambini loro volta non trattano i figli come tali
ma come oggetti dai quali ottenere qualcosa in cambio:
(di molto simile a quello che cerca il figlio stesso)
amore, riconoscimento, attenzioni... Insomma tante cose
Così il figlio cresce dando tutto ciò che il genitore chiede senza rendersi conto del suo sacrificio.
Non ci rendiamo conto di aver messo i bisogni degli altri prima dei nostri,
non sapevamo nemmeno di averne.
Quando realizziamo questo errore, ci ritroviamo paralizzati,
in un tunnel senza sapere da quale lato sia l'uscita.
Il reale problema sta che nessuna delle opzioni sembra fattibile:
Continuare a fingere? No, una volta aperto il vaso è impossibile richiuderlo
Cercare se stessi? E come? Il prezzo da pagare sembra troppo alto.
Da qui nasce quella paura di non sapere come comportarsi.
Siamo paralizzati.
Non vogliamo ferire le persone a cui abbiamo dedicato tutte le nostre attenzioni
quindi?
Una delle prime soluzioni a cui approdiamo tutti in modi distinti è
l'auto-sabotaggio
Siamo noi il problema, siamo noi che non andiamo bene, siamo noi quelli da punire,
quelli che non si riescono a riconoscere, a ritrovare, a risolversi.
L'autolesionismo sposta questo dolore astratto e intangibile
su qualcosa di fisico, concreto e tangibile: spesso il proprio corpo.
Ne avevo già parlato sul post sulla depressione:
è praticamente impossibile lottare contro qualcosa che percepisci ma che non vedi,
qualcosa che non riesci a visualizzare, qualcosa che non riesci nemmeno a spiegare a parole.
Ci si sente dei pazzi a volte a lottare contro i propri pensieri.
Ad ogni modo questo questa spiegazione chiarisce molti dei miei dubbi
che mi hanno afflitto nell'ultimo decennio.
La descrizione meticolosa, precisa e dettagliata dell'autrice è stata illuminante.
Sublime l'idea di paragonare i giovani di oggi
ai personaggi della mitologia greca e della letteratura latina.
Questo aspetto mi ha rincuorato,
sapere che in un modo o nell'altro ciò che proviamo non è mai del tutto nuovo
ma riemerge sempre anche se in modi differenti,
e che, di conseguenza,
studiare la storia, la letteratura e la filosofia
forse è l'unica cosa che ci può realmente salvare.
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